Cronaca

Tratta di schiave dalla Nigeria, tra violenze e riti vudù: undici arresti

Le vittime "smistate” in tutto il nord-Italia

Immagine di repertorio

Donne che sfruttano altre donne di 18-19 anni, preferibilmente vergini e provenienti da situazioni socio-familiari difficili che appena arrivate in Italia, dopo un viaggio di oltre 6mila chilometri, scoprono di essere state comprate in patria per prostituirsi.

E' durata un anno l'indagine dei Carabinieri di Bologna che ha portato al fermo di 11 persone con controlli e perquisizioni arrivati fino a Torino. Sono state tratte in salvo e affidate a strutture protette sei giovani, sequestrati circa 15.000 euro, contante nigeriano e inglese, nonché carte e documentazione. 

"Un inferno" ha definito le condizioni di vita di queste nuove schiave il Comandante della Compagnia Bologna Centro Giuseppe Musto. Bologna rappresentava la base operativa, ma le vittime venivano "smistate in tutto il nord-Italia e anche all'estero", ha specificato. Durante le intercettazioni gli inquirenti hanno potuto constatare una situazione "aberrante, ragazze che speravano di non svegliarsi la mattina dopo, il timore per la vita dei parenti in patria, i riti tribali, le punizioni".

LA DENUNCIA

Una 23enne nigeriana a giugno del 2016 aveva denunciato i suoi aguzzini. Ingannata in patria dalla promotrice della "tratta", una volta arrivata in Italia si era rifiutata di prostituirsi, così a gennaio 2015 era stata picchiata e aveva subito uno stupro di gruppo da parte di connazionali, infine era stata abbandonata in strada in fin di vita. La violenza era stata tale da causarle lesioni permanenti: sottoposta a intervento chirurgico, le era stata asportata parte dell'utero, oltre a essere stata contagiata dal virus HIV. Grazie al coraggio della ragazza i Carabinieri hanno avviato l'indagine, coordinati dal PM Marco Orsi.

LA 'SCELTA'

Le giovani non venivano selezionate a caso, giovani, di 18-19 anni, preferibilmente vergini e provenienti da situazioni socio-familiari difficili (matrimoni falliti, gravidanze extra coniugali). 


L'ORGANIZZAZIONE

I membri conoscevano perfettamente il meccanismo dell'accoglienza e spesso erano in contatto con gli scafisti che dalla Libia traghettavano le ragazze in Italia, ma il loro viaggio, iniziato in Nigeria, da Benin City, passando per Agadez, in Niger, per arrivare a Sabha e poi a Tripoli. A dirigerla una 38enne nigeriana, residente a Bologna, ma vi era una netta ripartizione dei ruoli: alcuni soggetti erano deputati all’individuazione in Nigeria delle potenziali vittime, all’organizzazione del viaggio in Italia via Libia, alla fuga dai centri di accoglienza fino al trasferimento a Bologna, altri all’attività contabile ed alle “punizioni” in caso di resistenze a vendere il proprio corpo per ripagare il debito contratto, dai 40mila ai 70mila euro. Erano alloggiate in veri e propri tuguri che condividevano in città. I proventi venivano reinvestiti nell’acquisto di nuove donne o reintrodotti nelle nazioni di origine dentro container o trasportati di persona. L’estinzione del debito era garantito da rituali vudù, così da instaurare un vincolo psicologico per timore ritorsioni. 
 


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