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"Pasolini e la morte" al Teatro Baretti

Dal 15 al 17 marzo, al Teatro Baretti, "Pasolini e la morte: un rito culturale", con la drammaturgia di Ola Cavagna. E con Mauro Avogadro, Lorenzo Fontana e Gianluca Gambino. Nel 1967 Pasolini scrive in "Empirismo eretico": L'uomo si esprime soprattutto con l'azione. [...] Ma questa azione manca di unità, ossia di senso finchè essa non è compiuta. [...] E' dunque necessario morire perchè, fino che siamo vivi, manchiamo di senso, e il linguaggio della nostra vita (con cui ci esprimiamo e a cui diamo la massima importanza) è intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità. [...] Finchè io non sarò morto nessuno potrà garantire di conoscermi veramente.

Il significato di queste parole che, prima della morte di Pasolini avevano un senso prevalentemente strumentale, si è, dopo la morte, violentemente acceso e dilatato. C'e in Pasolini una volontà del nuovo, come bruciante tensione morale ed espressiva. Una tensione non priva di una forte connotazione narcisistica, ma illuminata e violenta come una necessità originaria, tale da segnare la sua vita, fino a fare di lui in una società cattolica e irreligiosa come la nostra, un testimone scomodo e irriducibile, un intellettuale eretico che con la sua "diversirà" suscita diffidenza e disagio.

Ma ora, dopo la sua morte emerge in modo prepotente il senso e la qualità della sua testimonianza. Ora non possiamo non sapere che Pasolini scriveva quasi invariabilmente di se stesso, che la sua morte ha trasformato il senso della sua vita e ha fatto proprio della sua vita una storia. In "Osservazioni sul piano sequenza" Pasolini da autore cinematografico e da poeta ci dà, della funzione della morte, un'immagine stupenda: "E' la morte che compie il fulmineo montaggio della nostra vita" e aggiunge: "Solo grazie alla morte la nostra vita ci serve ad esprimerci".

Queste note non rappresentano altro che una proposta di lettura del fenomeno Pasolini fondata su una fantasiosa ipotesi: Pasolini è stato coscientemente regista del film della propria vita. Ripercorreremo attraverso un'operazione sintetica, il montaggio "del film della sua vita" attraverso stralci di un'intervista rilasciata da Pasolini a Duflot, delegando le cose che non ha voluto dire alla sua poesia.
 


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