L’Avaro di Molière debutta al teatro Gobetti
Al Teatro Gobetti, mercoledì 7 ottobre , alle ore 20.45, debutterà in prima nazionale L’avaro di Molière, traduzione di Sara Prencipe, con la regia di Jurij Ferrini.
Lo spettacolo sarà interpretato da Jurij Ferrini (nel ruolo di Arpagone), Elena Aimone (Frosina), Matteo Baiardi (Cleante), Vittorio Camarota (Mastro Simone/Gran d’Avena), Fabrizio Careddu (Anselmo), Sara Drago (Elisa), Daniele Marmi (Stoccafisso/Commissario), Raffaele Musella (Valerio), Gloria Restuccia (Mariana), Rebecca Rossetti (Donna Claudia), Michele Schiano Di Cola (Mastro Giacomo), Angelo Tronca (Freccia). Le scene sono di Nicolas Bovey, i costumi di Alessio Rosati, le luci di Lamberto Pirrone e il suono di Gian Andrea Francescutti.
L’avaro, prodotto dal Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale, sarà replicato al Gobetti fino al 18 ottobre e dal 27 ottobre all’8 novembre 2015. Il 23 e il 24 ottobre lo spettacolo andrà in scena al Wuzhen Theatre Festival, la più vivace rassegna della scena teatrale cinese.
Insieme a Tartufo, Il malato immaginario e Il borghese gentiluomo, L’avaro è una delle grandi commedie di Molière, una delle più note, celebrate, rivisitate a partire dal 9 settembre 1668, data del debutto al Théâtre du Palais-Royal a Parigi. Una commedia amara, costruita attraverso numerosissime fonti e contaminazioni, non solo sociali, ma anche letterarie. Meccanismo compiuto e spassoso, animato da alcuni tra i temi più tradizionali del teatro comico, L’avaro è terreno fertile per la rilettura di Ferrini, interprete e regista dello spettacolo.
Dopo il successo di Cyrano de Bergerac, Ferrini affronta un altro testo fondamentale del teatro: «Io penso che se abbiamo perso la capacità di far ridere con le grandi commedie classiche, dotate di ingranaggi comici perfetti, capaci di sostenere una trama portante e svelare personaggi eternamente attuali, se non sappiamo più far divertire davvero il pubblico con questi personaggi straordinari, con il loro linguaggio, con le loro debolezze e passioni sfrenate, significa che qualche problemino lo abbiamo noi teatranti e non il pubblico. Ecco perché è appassionante la sfida di tornare a far ridere il pubblico con la complessità umana dei protagonisti di un testo come L'avaro. La caratteristica dei classici è proprio quella di attraversare le epoche della storia e rimanere integri anche dopo enormi cambiamenti sociali. Purtroppo non vedo nulla di antiquato in un uomo ossessionato dal possesso al punto da togliere ogni prospettiva di felicità alla sua stessa prole, da diventare addirittura usuraio ai danni di suo figlio. Arpagone è un vecchio che per egoismo condanna all'infelicità una generazione di giovani, mentre loro tentano in ogni modo di aggirare la sua prepotenza. Guardandomi intorno, osservando il mio paese, i suoi potenti e i suoi sudditi... vedo in tutto questo qualcosa di estremamente familiare».